Economia

Come valutare il capitale di un’azienda

Come valutare il capitale di un'azienda

Sono vari i modi applicabili per stabilire il valore economico di un’azienda. Ognuno ha la sua attendibilità, ma anche dei limiti. Proviamo ad addentrarci…

La valutazione del capitale di un’azienda è un’operazione economica alquanto delicata. Ci sono diverse maniere per farla, anzi si tratta di veri e propri metodi che seguono criteri e percorsi distinti e che quindi, inevitabilmente, contengono pregi e difetti. Non si disquisisce, come è evidente, di una questione di classifiche: ognuno è valido o scartabile a seconda dei casi, delle esigenze, dei contesti; non ne esiste uno scevro da margini di errore, perciò è opportuno conoscere preventivamente i limiti di ciascuno e scegliere, senza illudersi. Le metodologie che avete a disposizione sono essenzialmente quattro: patrimoniali, reddituali, di mercato, finanziarie.

La “scadenza”della metodologia patrimoniale

Ve lo dice già il nome: la metodologia patrimoniale, quando è pura, si preoccupa esclusivamente del versante patrimoniale dell’azienda in esame. C’è anche un metodo misto, che tiene conto di un altro aspetto, quello economico-reddituale; ma solo in parte, sicché alla fine cambia poco. La “gabbia” principale di tale tipo di calcolo sta nel concentrarsi sul patrimonio dell’impresa al momento in cui la valutazione è chiusa. Chiaramente, la società proseguirà la sua attività e continuerà a fatturare (perciò bisognerebbe quantomeno riproporzionare i dati in base al tempo trascorso); da qui l’approssimazione delle cifre risultanti. Malgrado ciò sia noto, si tratta ancora di una modalità molto praticata da chi se ne intende, a causa della razionalità che vi si applica, preferibile alla relativa vaghezza dei multipli di mercato o dell’“azzardato” D.c.f. (Discounted cash flow).

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La “speranzosa” metodologia reddituale

Sono essenzialmente due i vantaggi presentati dalla metodologia reddituale: insieme a quella finanziaria (che però, forse, prevale comunque), è molto usata dagli esperti; ed è sotto certi punti di vista inattaccabile, poiché si serve di teorie abbastanza valide e, volendo, inappuntabili, anche se si parte dal principio imperfetto della capacità di un’impresa di produrre nell’avvenire. Infatti, incentrare un calcolo del genere su un flusso di reddito è diverso dal riferirsi a un più concreto flusso di cassa. Un reddito d’esercizio va bene per la contabilità, ma è un risultato “ottimista” che non restituisce l’effettiva ricchezza di un’impresa. Questo succede soprattutto per via di agenti esterni al funzionamento di una società e, soprattutto in Italia, agli insistiti “aggiustamenti” legislativi che puntano a sgravare – anche dovutamente – il peso fiscale, i quali però, per quel che concerne l’ambito di cui parliamo, rendono imprecisa una valutazione del capitale degna di considerazione. A normalizzare detti flussi ci si prova; la debolezza dell’indicatore in questione persisterà lo stesso.

I pratici multipli di mercato

Quanto conta la semplicità? Parecchio, in particolare quando ci sono di mezzo stime per loro natura complicate da effettuare. In una simile accezione, i multipli di mercato rappresentano un indubbio alleggerimento del compito di chi deve occuparsi (in qualche caso senza competenze o titoli specifici) di fornire un quadro credibile dell’effettivo valore di un’azienda; ma hanno un ulteriore elemento di appetibilità: appaiono immediatamente comprensibili a chiunque ci si trovi di fronte (che potrebbe a sua volta non essere abbastanza pratico di numeri). L’inghippo, allora, dove sta? Potete immaginarvelo: a un livello teorico, non si tratta di criteri sufficientemente “pesanti” o attendibili. È perlopiù il confronto, che possibilmente nemmeno si fa, con le valutazioni degli efficientissimi mercati azionari a non reggere e a rischiare di vanificare gli sforzi. Anzi, è per l’appunto l’assenza di tali raffronti a provocare lo sgretolamento della credibilità dei dati così ottenuti, che di colpo divengono aleatori e addirittura difficili da determinare. Dunque, essi possono essere applicati “in mancanza di meglio”, in ambienti meno esigenti o comunque come alternativa, per raffrontare, rinforzare o contestare valutazioni di altro genere.

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La “soggettiva” metodologia finanziaria

Poiché, come abbiamo visto, i flussi di reddito non possono essere definiti una “scienza esatta” per tracciare il ritratto realistico di un’impresa, apparentemente è meglio ripiegare sui flussi di cassa. Su questo si impernia, perlomeno in prospettiva, la metodologia finanziaria. Qui è l’attività operativa a essere posta in cima alla scala dei valori, non il capitale secondo l’ottica del mercato; di conseguenza, le eventuali attività non operative vengono trattate a parte e considerate ininfluenti o bene che vada accessorie. Tornando al paragone con i redditi d’esercizio, i detrattori del criterio su cui adesso ci stiamo soffermando puntano il dito proprio sul fatto che in tal caso essi – che propongono una proiezione sugli utili futuri – vengano trascurati. Ma è infatti su tale territorio che fanno resistenza i sostenitori: le aspettative sul “dopo” rimangono impalpabili finché non si traducono in vere entrate. Ci sono tuttavia parametri, quantificazioni relative ai tassi di sconto, variabili di tipo disparato e altre componenti che sfociano senza dubbio nel personalismo o finanche nell’arbitrarietà a remare contro l’elezione di questo metodo a criterio di valutazione indefettibile (lo ribadiamo: ciò rimane una sorta di chimera).
D’altro canto, individuare i tassi di attualizzazione comporta l’inclusione e la considerazione di elementi poco prevedibili o difficilmente reperibili (in quanto le informazioni al riguardo sono destinate a restare frammentarie). Alcuni esempi? I premi di rischio, anzitutto, oppure i tassi di crescita rapportati a un flusso che verrà (che può essere perfino di decrescita) e che ovviamente non può essere quantificato con precisione (se si pensa pure alle modifiche delle imposte volute dai governi che periodicamente si avvicendano); e poi, la tendenza a pontificare idealisticamente (e spesso deviando dalla realtà) sull’assetto finanziario, nonché i beta (indicatori di grande rilievo nell’ambiente) che fanno riferimento ai settori specifici.

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Considerazione conclusiva

Tuttavia, lo si accennava all’inizio, le opposizioni alla lunga corrono il pericolo di diventare pretestuose e perfino insopportabilmente pedanti. Riuscire a identificare gli intervalli di valori e dipingere degli scenari futuri provvisti quantomeno di una certa logica è già un traguardo non indifferente; bisogna accontentarsi, fare di necessità virtù e comprendere quale dei metodi sopraesposti si avvicina maggiormente alle vostre esigenze, adottarlo e applicarlo nella convinzione che, nella migliore delle ipotesi, vi recherà una previsione onesta di cui ci si può sempre avvalere e che può dar luogo almeno a una presentazione dignitosa e non ingannevole. La precisione assoluta e l’infallibilità, purtroppo, non abitano qui, né mai ci abiteranno, di questo passo. A meno che un giorno non lontano qualche genio della matematica non scopra un algoritmo dal “potere” indiscutibile…
Vi siete già trovati alle prese con una di queste metodologie?

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