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Avviamento e divieto di concorrenza sono due elementi relativi alla cessione attività in qualche modo correlati. Leggendo questo articolo potrai chiarirti meglio le idee su entrambi, che tu sia il cedente o l’acquirente.
Quando si decide di vendere o comprare un’impresa, infatti, ci sono diverse cose da tenere in considerazione. È una scelta da cui si può trarre un reale vantaggio ma solo se l’operazione va pianificata con accortezza. Da imprenditore dovresti farti seguire da un consulente specializzato in compravendita di aziende. Entriamo nel vivo del nostro approfondimento iniziando dall’avviamento.
L’avviamento, di fatto, è una qualità dell’impresa. Ne rappresenta la capacità di conseguire un risultato economico, quindi di generare profitto con la sua attività produttiva.
Non è detto, però, che tutte le aziende lo posseggano, anche perché non è un elemento essenziale, seppur importante. Ne sono prive, ad esempio, le imprese che non hanno ancora iniziato la propria attività o che sono state cessate.
La cessione attività potrà essere eseguita anche senza considerare l’avviamento, ma quest’ultimo non è mai cedibile come elemento autonomo.
Come valutarlo?
Ci sono diversi fattori che permettono di stimare il valore dell’avviamento di una società:
Proprio dalle competenze del titolare deriva il divieto di concorrenza stabilito per legge nei suoi confronti, se sceglierà di cedere la sua impresa (ex art. 2557 cod. civ.).
Il divieto di concorrenza ha il fine di tutelare chi compra un’azienda già esistente. Immagina di acquisire una farmacia e di ritrovarti il vecchio titolare a meno di un km da questa con un nuovo negozio uguale al tuo. Come minimo ti sottrarrebbe gran parte dei clienti che possedeva già.
La normativa mira a evitare che il cedente si possa riappropriare di quei valori commerciali di avviamento dell’azienda, composti di fatto dalla clientela. Questi, con l’atto di cessione, devono intendersi trasferiti al nuovo titolare che non può perdere il valore dell’avviamento (pagato insieme al resto).
Il cedente, per la durata di 5 anni dalla cessione, non può avviare una nuova impresa che per oggetto, ubicazione e altro, sia capace di sviare la clientela dall’azienda ceduta. Il suo eventuale progetto non sarà valutato sulla base della discrezionalità, ma considerando in modo concreto fattori come l’ubicazione della nuova impresa e altre circostanze influenti.
Il cedente sarà libero di iniziare, invece, qualsiasi nuova attività differente da quella venduta, incapace di generare concorrenza.
In fase di trattativa venditore e acquirente possono stabilire dei limiti maggiori per il primo. L’importante è che non impediscano al cedente ogni attività professionale danneggiando la sua libertà di iniziativa economica. I 5 anni, invece, come tempo massimo del divieto, sono inderogabili.
Il divieto di concorrenza, quindi, può subire delle variazioni ma non può essere mai eliminato. La legge lo prevede anche quando le parti non lo hanno espressamente previsto.
Ricordiamo, inoltre, che il divieto non intacca le attività del venditore preesistenti alla cessione, a condizione che il compratore sappia che esistono.
In questo caso il nuovo capo d’impresa può richiedere delle azioni inibitorie e la risoluzione del contratto. Per farlo non serve che si verifichi una effettiva concorrenza ma basta il pericolo di un danno potenziale. Ovviamente l’eventuale risarcimento a favore del compratore avverrà dopo una procedura di accertamento. Si valuterà, in pratica, se l’azienda ha subito un impoverimento rispetto alla situazione esistente alla data del trasferimento, o non si è sviluppata, a causa delle azioni prodotte dal vecchio titolare.
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