La cessione aziendale è un processo che solo in apparenza è semplice; infatti, oltre al cedente e all’acquirente, vengono coinvolti in questa operazione tutti i soggetti che fanno parte dell’azienda e quindi, tra i più importanti, anche i lavoratori, i creditori, i debitori e i fornitori. All’interno di questo passaggio tra cedente ed acquirente, possono sorgere molte controversie che devono essere considerate e regolate secondo la normativa vigente.
Un problema che spesso è emerso all’interno delle cessioni aziendali è dato dall’esclusione o meno del trasferimento di alcuni beni appartenenti al complesso dell’azienda in questione. Nel contratto che viene redatto in caso di cessione d’azienda, è possibile inserire una clausola che escluda il passaggio all’acquirente di determinati beni, ma non è detto che, in questo caso, la cessione d’azienda sia avvenuta in modo corretto. Infatti, affinchè la cessione sia valida, il trasferimento deve comprendere tutti i beni indispensabili, in modo tale che l’acquirente possa immettersi nel tipo di attività a cui l’azienda si riferisce e in maniera immediata. Nel caso, possono essere tralasciati solo quei beni ritenuti non indispensabili all’esercizio vero e proprio dell’attività.
A tale proposito, si riporta un caso esemplificativo che aiuta a far comprendere questa casistica.
Si potrebbe presentare il caso nel quale l’acquirente si trova ad acquistare un’azienda che ha sede in un fabbricato che dovrà essere necessariamente demolito. I beni, inclusi nel trasferimento, sono indispensabili per aprire un nuovo negozio, ma che sarà distante da quello precedente; questo potrebbe far sì che il trasferimento non avvenga nel modo giusto. Infatti, nonostante il trasferimento dei beni dell’azienda sia avvenuto in blocco e senza nessuna clausola di esclusione, il nuovo acquirente si troverebbe nella spiacevole situazione di non poter proseguire immediatamente l’attività che ha acquistato. Inoltre, dovrebbe proseguire l’attività in un luogo distante dal precedente e questo non consentirebbe di avere integrazione con l’ambiente precedente e tanto meno con gli eventuali fornitori.
Un’altra controversia, piuttosto comune, si ha quando si tratta di divieto di concorrenza, soprattutto perché dalla normativa non è sempre molto chiaro evincere quando debba essere applicato oppure no.
Le interpretazioni sono diverse e anche l’art. 2557 del Codice Civile non è sempre di aiuto perché non è ancora chiaro se l’articolo in questione ha carattere di norma eccezionale o meno.
La violazione del divieto di concorrenza può avvenire in diversi casi, tra i quali:
Potrebbero sorgere, però, obiezioni perchè si potrebbe dire che chi esercita l’attività è un soggetto diverso dal cedente.
In realtà, all’atto pratico, l’articolo 2557 del Codice Civile viene chiamato in causa solo in caso di cessioni di quote societarie (e non semplici quote di partecipazione) o, comunque, in casi conclamati di concorrenza diretta e illecita.
In riferimento a casi di questo tipo, possono essere citate due sentenze della Cassazione, la n.1643 del 1998 e la n. 9682 del 2000.
Un’ulteriore controversia può sorgere in riferimento agli articoli 2558, 2559 e 2560 del Codice Civile.
L’art. 2558 prevede il trasferimento automatico dei rapporti contrattuali dal cedente all’acquirente, inteso come effetto naturale che viene dopo il trasferimento dell’azienda. Questo consente al nuovo proprietario di immettersi direttamente nell’ambito di attività dell’azienda acquistata e, di conseguenza, nell’ambito dei rapporti giuridici sorti quando era presente il vecchio proprietario.
Se nel contratto non vi sono particolari clausole, il trasferimento è valido per tutti i contratti (tranne per quelli a carattere personale). Entrambi i soggetti possono escludere alcuni contratti dal trasferimento, ma solo se non siano essenziali per l’azienda.
Gli articoli 2559 e 2560 del Codice Civile sono relativi ai crediti e ai debiti, che siano o meno extracontrattuali.
L’articolo n. 2559 divide i pareri della dottrina relativa alla cessione d’azienda per ciò che concerne i crediti; non è chiaro, a differenza di quanto accade con l’art. 2558 sul trasferimento del rapporto contrattuale all’acquirente, se il trasferimento dei crediti sia automatico o se occorra, invece, un determinato patto tra le parti. In generale, la giurisprudenza tende a privilegiare la prima ipotesi, ovvero una successione automatica dei crediti; un riferimento, a questo proposito, lo si può ritrovare in due sentenze della Cassazione: la n.4873 del 1995 e la n. 577 del 1999.
L’art. 2560 del Codice Civile si occupa, invece, dei debiti; l’articolo afferma che l’acquirente deve rispondere dei soli debiti presenti all’interno delle scritture contabili obbligatorie. Tale condizione ha il fine di tutelare l’eventuale creditore, in modo tale che non gli venga diminuita la generica garanzia che, in origine, gravava sul patrimonio dell’azienda.
Una possibile controversia potrebbe riguardare proprio questa questione; non è del tutto chiaro, infatti, se l’acquirente debba essere responsabile solo dei debiti presenti all’interno delle scritture contabili obbligatorie, oppure se debba considerare anche i debiti conosciuti o di cui potrebbe essere a conoscenza. Su questa questione il dibattito è abbastanza unanime; si ritiene che sia responsabilità dell’acquirente solo la parte di debiti risultante nelle scritture contabili obbligatorie.
In caso di controversie, è possibile consultare due sentenze della Cassazione, una risalente al 1999 (la n. 1429) e una risalente al 2000 (la n. 8363).
Tra le possibili controversie che possono verificarsi durante una cessione d’azienda ce n’è anche una relativa alla continuità dei rapporti di lavoro dei dipendenti. Infatti, in caso di trasferimento d’azienda è obbligatorio che il personale mantenga la propria posizione lavorativa, senza essere interrotta da licenziamenti illegittimi e questa è una delle principali clausole presenti all’interno del contratto di cessione d’azienda.
Nonostante questo, le controversie possono nascere dal fatto che nel Decreto Legislativo 18/2001 si specifica che il lavoratore non è obbligato ad accettare il lavoro a seguito del trasferimento o della cessione d’azienda e può dimettersi, entro e non oltre i 3 mesi successivi all’ufficialità del trasferimento.
Inoltre, secondo quanto riportato nell’articolo n. 2119 del Codice Civile, qualora le condizioni lavorative subissero una modifica di tipo sostanziale rispetto a quelle presenti in origine, il lavoratore potrebbe decidere di risolvere il contratto e dimettersi.
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