La cessione aziendale è una fase molto delicata della vita di un’impresa e, per questo motivo, bisogna essere in grado di gestirla sempre al meglio. Quando si decide di cedere la propria attività, lo si fa per i più svariati motivi. L’imprenditore può avere difficoltà economiche che non permettono di continuare la gestione, oppure potrebbe anche semplicemente decidere di dedicare le proprie energie ad un altro progetto oppure alla propria pensione.
Risulta abbastanza evidente che in base anche a queste motivazioni, il nuovo acquirente troverà una situazione economica e finanziaria molto differente a seconda dei casi. Per questo motivo è sempre opportuno vagliare differenti metodologie di calcolo del valore dell’azienda, in questo modo, infatti, si ridurranno i rischi di commettere errori fastidiosi. Cerchiamo di fare una panoramica generale ma abbastanza esaustiva, su quelli che sono i metodi maggiormente utilizzati per valutare una cessione aziendale. In sostanza si tratta sempre di valutare quello che è il capitale economico dell’azienda e per farlo si utilizzano criteri e metodi appositamente studiati. Questo avviene perché il capitale, così come si intende in economia, risulta essere un’entità non precisamente identificata, bensì essa ha un valore astratto che può essere relativizzato seguendo procedure differenti che, ovviamente, producono risultati parzialmente diversi. Esistono perciò differenti configurazioni di capitale che vengono calcolate per esigenze conoscitive ben precise.
Quando si parla di cessione d’azienda si è soliti fare riferimento al cosiddetto capitale di trasferimento. Esso rappresenta un metodo di calcolo olistico che viene messo in atto quando ci si appresta a cambiare il soggetto economico dell’impresa. Questa definizione viene sempre utilizzata per indicare quel soggetto, o in alcuni casi del gruppo di soggetti, che detengono il potere in azienda, ovvero hanno la capacità di manovrare le leve decisionali ed indirizzare l’attività di tutti i beni organizzati. Si ricorda sempre che la cessione di un ramo aziendale segue sempre le stesse regole della cessione in toto, questo avviene perché la disciplina legislativa alla quale rispondono le due opzioni è la medesima. In sostanza una parte dell’azienda viene sempre vista come un complesso di beni organizzati per produrre utili e per questo motivo viene trattata come un sottoinsieme con caratteristiche uguali all’azienda nel suo complesso.
Il valore finale che verrà quindi calcolato, sarà una funzione di più variabili che intercorrono nel processo di valutazione. Esse si possono facilmente esplicare considerando da una parte lo scopo per il quale viene effettuata la valutazione e dall’altra il soggetto che la effettua. Risulta abbastanza evidente che se il soggetto incaricato sarà interno od esterno all’impresa, il risultato finale sarà parzialmente differente.
Questo non è vero solamente per il fatto che un soggetto interno si sente maggiormente partecipe del valore creato, ma anzi è ancora più importante l’asimmetria informativa. Un soggetto esterno che si dedichi alla valutazione della cessione aziendale, infatti, potrebbe avere accesso ad un numero limitato di informazioni circa la solidità patrimoniale e finanziaria dell’azienda. Nel migliore dei casi esso si troverà di fronte ad una società con obblighi di pubblicità legale. In questo caso avrà a disposizione tutti i bilanci depositati della stessa e potrà facilmente ricavare delle informazioni aggiuntive per capire tali dati dalla nota integrativa o dalla relazione sulla gestione.
Però è anche vero che esisteranno sempre dei dati che l’azienda non riporta all’esterno. Ad esempio se si è deciso di implementare un sistema di contabilità analitica, per analizzare i costi di alcuni passaggi fondamentali del proprio processo produttivo, i risultati di questi sforzi verranno gelosamente custoditi dall’azienda e solamente un soggetto interno ad esse potrebbe comprenderne fino il fondo il loro vero valore. Per questo motivo una valutazione interna sarà sempre più accurata e terrà in debito conto tutti gli elementi che concorrono a formare il valore complessivo dell’azienda.
Esiste sempre, ovviamente, il rischio che un soggetto interno sia portato a valutare troppo arbitrariamente alcune voci di bilancio, per questo motivo esistono due fondamentali requisiti per calcolare il capitale economico:
Il valore così ottenuto prende, appunto, il nome di capitale economico ma esso non rappresenta ancora il vero prezzo che l’acquirente pagherà. La differenza tra questi due valori può essere spiegata grazie a diverse problematiche che sorgono in seguito. Prima fra tutte è l’abilità nella contrattazione di ogni soggetto coinvolto e la differente forza contrattuale delle parti. Come in ogni contratto, infatti, esiste sempre un soggetto che ha una maggiore forza contrattuale e può sfruttarla per ottenere condizioni a lui più favorevoli. In caso esso sia un venditore potrebbe ottenere un prezzo di cessione più elevato ed in caso sia l’acquirente riuscirebbe, magari, ad ottenere maggiori garanzie.
Concorre a creare una maggiore differenza anche il cosiddetto avviamento, ovvero quel maggior valore che viene riconosciuto ad un’azienda già avviata. Essa, infatti, potrà godere di un giro d’affari già consolidato e si potranno ridurre i costi iniziali che nei conti di una società sono sempre molto elevati. Non sarà necessario farsi conoscere da una nuova clientela ma, al massimo, si dovrà cercare di consolidare quella già esistente. Risulta abbastanza evidente che a questo vantaggio venga riconosciuto un certo valore anche di tipo economico.
Il perito potrà concentrare le sue energie in ordine a due fondamentali metodologie di calcolo, potrà utilizzare le cosiddette grandezze flusso, considerando redditi e risorse finanziarie, oppure grandezze stock, ovvero il patrimonio dell’azienda derivante dai bilanci approvati.
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