Tabella dei contenuti
Uno dei modi che le aziende hanno a disposizione per creare valore è l’acquisizione di un’altra impresa. Quali sono le tappe e i rischi dell’operazione?
Che avvenga direttamente o indirettamente, l’acquisizione di un’azienda è un’operazione tanto importante quanto delicata, che va valutata con attenzione prima di avviare qualsiasi procedura, la quale deve comunque essere pianificata seguendo un iter preciso. Un’impresa che vi si cimenta lo fa di solito per espandersi e, dunque, per aumentare il proprio valore di mercato.
Prima di tutto, è necessaria un’analisi strategica, “esterna”, che vi permetta di comprendere preventivamente se è il caso di imbarcarsi nell’affare. Se l’idea è quella di crescere, bisogna anche avere un piano sulle possibili alternative: quella a cui vi interessate è l’unica società sulla piazza che vi consentirebbe di allargarvi? Probabilmente no, ed è meglio saperlo prima. Così come, a volte, si potrebbe considerare qualche altra via per aumentare il capitale. Stabilito che il gioco vale la candela, si procede con uno studio preliminare specifico, dedicato appunto all’impresa oggetto delle vostre attenzioni. Da questa indagine, oltre a dati di diverso genere, si può evincere qual è il suo valore effettivo e procedere a una trattativa che conduca a un accordo sommario (mettendo per iscritto gli intenti o redigendo un memorandum che non dia adito a fraintendimenti). Dopodiché si organizza strutturalmente la transazione, si verifica se il prezzo concordato è corretto (o se va aggiustato, tramite una negoziazione detta due diligence) e si passa a stipulare il contratto vero e proprio. Ma vediamo di sviluppare questi concetti.
Parlando, a monte, di analisi preventiva, al suo interno deve trovarsi la cosiddetta impostazione strategica, che consta di un esame relativo al ramo di appartenenza dell’azienda in oggetto, dell’individuazione dei suoi punti deboli nonché delle potenziali sinergie, di un bilanciamento tra costi da sostenere e guadagni futuri. Trova spazio pure la definizione degli obiettivi dell’acquisizione, con una proiezione di quel che sarà (e farà) l’impresa inglobata. Essa viene praticamente osservata al microscopio e soppesata in base alla propria ubicazione, alle dimensioni, al settore produttivo; ma si tratta di correggere il tiro anche sui tempi previsti per portare a termine l’operazione, di chiarire qual è il livello generale dell’investimento (e il tetto dell’offerta), di decidere in che modo pagare e immaginare quali saranno le conseguenze finanziarie.
In realtà, nella maggior parte dei casi non rivolgerete la vostra attenzione verso un solo obiettivo, bensì verso alcuni. Il principio della disamina appena illustrata è quello di identificare il “candidato” più idoneo a un’acquisizione. Se soddisfa tutti o quasi tutti i requisiti, se ci sono i mezzi e se c’è l’opportunità di contattarlo e di mettersi d’accordo, si procede. È fondamentale capire anzitutto se possiede un buon management, quali sono le sue capacità di competizione e le sue attuali quotazioni di mercato; qualora ci si addentri in un ambito più industriale, è tassativo informarsi sulla quantità di macchinari in uso, sul loro genere e sulle loro condizioni, sulla consistenza degli immobili materiali e immateriali. Al setaccio andrebbero passate inoltre la redditività e l’assetto patrimoniale, perfino quello passato; e ancora: a che prospettive si può puntare? Ci sono joint ventures fattibili e proficue all’orizzonte?
L’acquisizione di un’azienda comporta un incontro iniziale con chi vende e con il suo consulente, che mettono sul piatto tutti i dati appena esposti (che comunque vanno appurati). Non per niente tali approcci conoscitivi avvengono in un luogo chiamato data room, dove si snocciolano le caratteristiche del bene da cedere. E da qui scaturisce l’offerta iniziale dell’acquirente (se interessato). Il passo successivo è il cosiddetto Confidentiality Agreement, ovvero un “lettera di confidenzialità” che protegge le parti e le impegna a non diffondere le notizie ricevute.
Sul prezzo finale incidono tantissimi fattori, che emergono nel corso delle trattative: motivazioni personali, obiettivi delle parti in causa, vantaggi attesi, ecc. Si addiviene in tal modo al range di prezzo, che si ottiene dall’incontro tra il valore oggettivo dell’azienda (secondo criteri di borsa e di altro tipo) e quello soggettivo, in base alle sinergie che potrebbe creare l’acquirente. I flussi finanziari di quest’ultimo, oltretutto, influiscono sulla convenienza del progetto, sul suo possibile sviluppo e sulle sue modalità, su sanatorie di bilancio, ricapitalizzazioni ed eventuale cessione di branche reputate meno utili. A questo punto si passa alla lettera di intenti (più blanda) o al memorandum of understanding (che ha un peso superiore) e l’accordo preliminare è fatto. In realtà, in taluni casi si stende proprio una bozza di contratto, la quale può rivestire addirittura il carattere giuridico di un atto preliminare di compravendita. Quanto ai modi in cui il pagamento dovrà avvenire, vengono definiti anch’essi in questo contesto. Alla soluzione puramente cash (oppure rateizzata) molti preferiscono i titoli, che possono riferirsi tanto all’acquirente quanto ad altre società. Esiste ancora una via, l’LBO, ossia leveraged buy out: in pratica, si dà luogo a un debito e si pongono a garanzia i previsti introiti provenienti dall’impresa.
Poiché i carichi tributari potrebbero salire parecchio dopo l’operazione (il che, a priori, costituisce senz’altro un deterrente o addirittura una compromissione senza appello dell’affare), a tutti interessa giungere a un’ottimizzazione fiscale. È una faccenda a cui si dedica una cura specifica, e d’altronde le strade legittime per lasciare entrambe le parti soddisfatte ci sono, basta trovare un punto d’incontro.
Capita non di rado che l’accordo salti, anche se si è a buon punto. Perciò, nel momento in cui le intenzioni cominciano a essere messe nero su bianco, con vincoli precisi, il clima perlopiù si distende, dato che i quasi-contraenti iniziano a intravedere il traguardo; anzi, si fissa pure un termine per completare la transazione. La lettera d’intenti possiede comunque una funzione legale ai fini della due diligence, vale a dire l’aggiustamento del prezzo.
Se c’è la volontà di continuare, si passa per l’appunto all’analisi che porta a stabilizzare il prezzo. Solidità, redditività e simili vanno a finire sotto la lente di ingrandimento. Al business audit (studio riguardante l’attività aziendale, tra strategie commerciali, insidie, amministrazione, organizzazione, suddivisione e mansioni dei reparti), segue proprio la due diligence, concernente gli aspetti legali, contabili e fiscali, di cui si occupano revisori e avvocati deputati a tale compito, per verificare l’attendibilità di quel che dichiara il venditore. Si tratta di un passaggio da maneggiare con cautela e di un certo rilievo, e occorre a minimizzare i rischi di chi investe.
Viene detta tecnicamente closing, ed è la stipula finale del contratto. Non è l’ultima parola, però, perché ci sono degli impegni post-acquisizione che devono essere rispettati sia da chi compra sia da chi vende (soprattutto se costui permane in attività, magari in qualità di socio). Un modo per sancire il successo della (travagliata) operazione anche in seguito.
Avete esperienze in proposito?
Le fusioni e le acquisizioni (M&A) sono strumenti strategici utilizzati dalle aziende per crescere, diversificarsi…
Consulting Italia Group S.p.A. prosegue nel suo impegno per offrire servizi sempre più avanzati ai…
Vendere una startup è un processo complesso che richiede una pianificazione accurata e una profonda…
La due diligence è un processo cruciale che consente a potenziali investitori o acquirenti di…
Nel mondo delle transazioni aziendali, la vendita di un'impresa può assumere diverse forme, con la…
Negli ultimi anni, le Piccole e Medie Imprese (PMI) hanno affrontato sfide crescenti nel reperire…