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In caso di vendita negozio eseguita da privati cosa genera la plusvalenza? In questo articolo affrontiamo l’argomento facendo riferimento alla normativa vigente.
Le regole tributarie riguardanti la cessione di immobili commerciali da parte di persone fisiche sono dettate dall’art. 67, c.1, lettera b, del D.P.R. n.917/86. Si riferiscono ad attività di più tipi, dai negozi ai capannoni industriali. Secondo la legge, se la vendita negozio è effettuata a titolo oneroso da un privato, è soggetta alla generazione di un reddito diverso e dunque tassabile a carico del venditore. Scopriamo insieme i casi in cui è richiesto il versamento di imposte all’erario.
La cessione di un immobile commerciale adibito a negozio (categoria catastale C/1) prevede un regime di tassazione applicabile ai fini delle imposte dirette (IRPEF, IRAP, IRES) e indirette, come l’IVA e le imposte di registro.
È il primo caso che ci interessa, perché riguarda le imposte che possono generare una plusvalenza. A cosa si riferisce questo termine? Facciamo un esempio.
Un privato che vende un negozio è soggetto a tassazione IRPEF se la vendita genera un guadagno: immobile acquistato per 100.000 euro e rivenduto per 140.000. La differenza positiva fra le due cifre rappresenta la plusvalenza. Qualora la cifra fosse negativa nessuna tassa sarà applicata (la transazione immobiliare potrà essere soggetta a verifica).
Sono gli atti definiti a titolo oneroso, cioè quelli per i quali è prevista la vendita dell’immobile in cambio di un pagamento. Parliamo, dunque, della compravendita di un negozio, della permuta (scambio di immobili), del conferimento del bene immobile in una società. Anche la cessione di una volumetria edificabile o la creazione di un usufrutto possono generare plusvalenza.
Al contrario, quando il negozio viene donato, o trasferito da un coniuge all’altro a causa di un procedimento di divorzio, la plusvalenza viene meno e di conseguenza anche la tassazione.
La vendita negozio ha generato una plusvalenza ma l’erario tarda nel riscuotere? Se sono passati 5 anni dalla data di acquisto del bene, il venditore non è più tenuto a saldare alcuna tassa riferibile alle imposte dirette. L’Agenzia delle Entrate, infatti, si è espressa in questo modo tramite risoluzione n. 231/E/2008: “(…) la finalità speculativa delle cessioni in discussione si presume dalla circostanza che l’arco temporale che intercorre tra la data di acquisto o di costruzione dell’immobile e la data di vendita dello stesso sia inferiore a cinque anni (…)”.
Buone notizie, invece, per chi ha ereditato il negozio che ha deciso di vendere. Le eventuali plusvalenze maturate non saranno tassate. Ecco la normativa di riferimento: art. 67, c.1, lettera b del D.P.R. n.917/86.
È chiamata così la categoria riferita al reddito tassabile derivato da plusvalenza. Questo andrà comunicato tramite dichiarazione dei redditi (730 o modello Unico) del venditore e contribuirà a formare il suo reddito complessivo soggetto a tassazione ordinaria. Il venditore, in alternativa, può scegliere di pagare il 20% dell’imposta sostitutiva (applicabile sulla plusvalenza ottenuta) durante l’atto notarile. Per farlo dovrà presentare, all’atto della cessione, una richiesta specifica. Va da sé che la plusvalenza non andrà più indicata nella Dichiarazione dei Redditi.
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Buongiorno, ho letto il vostro articolo che ho trovato molto utile. Avrei tuttavia una domanda. Se possiedo un locale commerciale da 11 anni, durante il quale è stato dato in locazione, la vendita di questo negozio che genera un plusvalenza sarebbe soggetta a tasse?
Vorrei inoltre sapere se oltre alla plusvalenza ci fossero altre spese da sostenere.
Ringrazio per l'attenzione e cordialmente vi saluto.